Referendum e svolte mancate
Un'analisi comparata sui dati dei 3 referendum
che hanno fatto la storia del nostro paese
Se compariamo questo referendum alle due precedenti storiche tornate referendarie del 1974 e del 1981, scopriamo che esistono molti elementi in comune a spiegare che la società civile è più avanti della politica e della classe dirigente che la governa. Sono i cittadini, i movimenti, le associazioni che, storicamente, danno la svolta. E' accaduto in passato, accade oggi. Il punto è che queste formidabili ondate progressiste la sinistra non è mai riuscita a incanalarle, fornendo risposte concrete su un versante politico.
Il primo referendum abrogativo della storia d'Italia, nel 1974, non fu promosso, come qualcuno potrebbe pensare, dai radicali o da giovani rivoluzionari di sinistra, ma dalla chiesa e dai democristiani, che, dopo l'approvazione della legge Fortuna-Baslini del 1970, diedero seguito all'idea di alto prelato, un monsignore, che aveva avanzato, alcuni anni prima (L'Italia, 17 aprile 1966), la proposta che si interpellasse direttamente il popolo per decidere sul divorzio, l'unico in grado, a suo avviso, di prendere una posizione netta su una tematica cosìdelicata.
Non si creda però che l'esito di quel primo referendum fosse, alla vigilia, così scontato.
(Fonte Internet)
Il governo Rumor era appena caduto, a seguito della crisi economica e delle dimissioni del ministro del tesoro La Malfa. Basta prendere in considerazione i manifesti elettorali dell'epoca (“Pensa a tuo figlio”, “Non mescolare il tuo voto con i fascisti”) o la copertina di un libro uscito proprio in quei giorni (in cui campeggiavano le facce di Gabrio Lombardi e Loris Fortuna), per capire quanto forte fosse la contrapposizione tra i due fronti. favore della riconferma della legge si schierarono, trasversalmente, la lega italiana per il divorzio, il movimento liberazione delle donne, quelli del manifesto, i pidiuppini, la lega degli obiettori di coscienza, i radicali, le comunità di base, i cristiani per il socialismo, i cattolici democratici, gli indipendenti di sinistra, e poi i partiti Psi, Pci, Psdi, Pri, Pli. Tra i quotidiani e le riviste appoggiarono il divorzio il Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero, Paese Sera, l'Unità, Il Secolo XIX, La Nazione, Il Giorno, Panorama, L'Espresso, L'Europeo, Grand Hotel, Amica e Noi donne. Per l'abrogazione si espressero, dall'altro lato, i missini, la Dc, la Cei, il Papa, con Famiglia cristiana, Avvenire, La Discussione, L'Osservatore Romano, La Civiltà cattolica, Il Popolo, Il Gazzettino, Il Tempo, mentre tutta la Rai, allora l'unico mezzo di informazione veramente capillare, evitava accuratamente di far sentire la voce dei divorzisti.
Alla fine, con una sonora risposta all'alto prelato che l'aveva chiamato in causa, il popolo, dunque, si espresse, dando inizio a quel processo di secolarizzazione che ha avvicinato l'Italia agli altri paesi europei più evoluti sul versante dei diritti civili. L'affluenza fu incredibilmente alta, circa 33 milioni e 29 mila elettori, l'88,1% degli aventi diritto. I “sì” all'abrogazione della legge sul divorzio il 40,9% mentre i “no” superarono il 59%.
La clamorosa novità fu la fortissima tenuta anti-divorzista nelle campagne e nelle province, tra le donne, tra gli operai e tra i cattolici. Una enorme affluenza al voto e le più alte percentuali del “no” furono in Val D'Aosta (75%), Liguria (72%), Emilia Romagna (70%), poi in Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Molise, Lazio, mentre tra le città, a Livorno (77%), Torino (76%), Ferrara (74%), Siena (74%), Trieste (73%), ma anche Bologna, Genova, Firenze, Reggio Emilia. Alte percentuali anti-divorziste si raggiunsero, sorprendentemente, anche nelle regioni del Sud, in testa Sardegna e Sicilia (e in particolare le città di Siracusa e Ragusa). Un'affluenza più bassa e le percentuali più alte del “sì” a Benevento, Lecce, Vicenza, Caserta, Avellino, Reggio Calabria, Potenza e Messina.
Il quadro sociologico e regionale emerso fu evidente. Il trend positivo, una sorta di traino, si ripercuoteva direttamente alle successive elezioni amministrative e regionali: rispetto alla disponibilità di voti degli schieramenti, Dc e Msi, uniti al referendum, avevano perso il 6,6%, circa 2 milioni e 700 mila voti, e infatti, nel 1975, la Dc calava e si attestava al 35% (e il Msi al 6%), mentre la sinistra era in crescita, con il Pci che aumentava del 5% e passava al 33,4%, il Psi + 2% e arriva al 12%, e il centro-sinistra insieme raggiungeva quota 45%, circa il 4% sopra il centro-destra. L'incredibile voto referendario e la evidente crescita di consensi elettorali della sinistra non erano però tramutati in un concreto risultato politico.
(Fonte Internet)
Anche nel 1981 la promozione del referendum che intendeva abrogare la legge sull'aborto del 1978 fu monopolizzata dai movimenti cattolici e in particolare da un ex giudice, divenuto presidente del Movimento per la vita. Anche in quell'occasione la contrapposizione nel paese fu fortissima, da un lato i radicali che rivendicavano l'aborto libero, dall'altro gli appelli delle parrocchie, dei parroci durante le omelie, e delle organizzazioni cattoliche, perfino le veglie di preghiera e le processioni che si concludevano con veri e propri comizi a favore del referendum, mentre in casi estremi anche le statue del santo patrono sfilavano accompagnate dal cartello vota “sì”.
La campagna referendaria fu segnata da una certa sproporzione mediatica delle forze in campo. A favore del referendum anti-aborto o, comunque, per un'astensione diretta contro la riconferma della legge 194, si schierarono in una specie di santa alleanza, la Dc, il Msi, il Papa, la Cei, il Mpv, Comunione e liberazione, La Civiltà cattolica, L'Osservatore Romano, l'Opus Dei, Azione cattolica, le Acli, la Cisl, Il Sabato, il Corriere della Sera, Il Popolo, La Discussione, Il Tempo, mentre la Rai si trovò in evidente imbarazzo a parlare di “194” e di interruzione di gravidanza. Uniti in difesa della legge Pci, Psi, Pri, Psdi, Pli, Sinistra indipendente, Pdup, e poi i movimenti dell'Udi, l'Mld, i gruppi del dissenso cattolico (Cdb e Cps), l'Arci, e i giornali Paese Sera, La Stampa, la Repubblica, l'Unità, il manifesto, Il Messaggero, L'Espresso.
Il risultato fu una sberla contro Chiesa e Dc e la conferma di un paese indirizzato verso una maggiore laicità, quantomeno di principio. Le donne, anche quelle cattoliche, i movimenti e i partiti uniti a difesa della legge, nonché il discutibile referendum radicale pro aborto, furono gli elementi che contribuirono a quell'indimenticabile risultato. L'affluenza fu, anche in quel caso, molto alta, con il 79,6%. Si espresse per il “sì” all'abrogazione della legge sull'aborto il 32,1% mentre per il no ben il 67,9% degli italiani.
Ancora una volta le percentuali più alte a favore della legge furono in regioni come Val D'Aosta (77,3%), Umbria (76,9%), Emilia Romagna (76,8%), Liguria (76,1%), Toscana (75,4%), Piemonte (73,9%), mentre quelle più alte del “sì” si ebbero in Trentino e Alto Adige 50,3%, Veneto 43,4% e Molise 39,7%. Rilevante apparve il fatto che in paesi di montagna e piccole province, dove la Dc aveva ottenuto alle precedenti elezioni anche il 70%, i voti contro la legge furono appena il 50%, mentre al Sud, in particolare in Calabria e in Basilicata, ci fu un'incredibile alta percentuale di astensioni, sommata alle tante schede bianche. Non è un caso dunque che alle successive elezioni politiche, quelle del 1983, la Dc ottenne il 32% dei consensi, cioè a dire il suo minimo storico, con addirittura – 8% rispetto alla precedente tornata elettorale. Anche questa volta però, il senso anti-governativo del voto, verso un partito e un sistema che iniziava a risentire degli scandali della corruzione, non venne affatto concretizzato dalla sinistra, che ottenne sì un discreto risultato elettorale, ma che non fu in grado di fornire una proposta alternativa di governo. Non a caso il Psi abbracciò la Dc per dar vita a quel pentapartito che fece epoca negli anni ottanta.
Infine arriviamo all'oggi.
Stavolta i comitati che hanno promosso i referendum su acqua pubblica, nucleare e giustizia erano espressioni variegate, poco etichettabili, gruppi e movimenti della società orientati tendenzialmente a sinistra (ma non solo), decisi a far conoscere i quesiti referendari alla cittadinanza con ogni mezzo a loro disposizione. E' stata chiara, infatti, fin dall'inizio, la sproporzione mediatica delle forze contrapposte. Per l'astensionismo o per il “no” all'abrogazione delle leggi governative si è dichiarata la presunta maggioranza degli elettori, cioè a dire ilPdl, la Lega, Fli, l'Udc, ma anche la Cisl, la Confindustria, e poi quasi tutta la stampa televisiva, cioè la Rai (Tg1 e Tg2) e Mediaset, quella dei giornali, Il Corriere della Sera, Sole24ore, Giorno/Resto del Carlino/Nazione, Il Giornale di Sicilia, Il Gazzettino, Il Giornale, Il Mattino, Il Tempo, La Gazzetta del Mezzogiorno, La Padania, Liberoe Panorama. Per i referendum, in modo trasversale, si sono schierati i comitati promotori sull'acqua pubblica e contro il nucleare, movimenti e gruppi come Legambiente, WWF, Italia Nostra, Arci, Protezione Civile, la Rete degli Studenti, Emergency, Donneinmovimento, Libertà e Giustizia, Cultura Sviluppo e Legalità, Medici per l’ambiente, gruppi sindacali come Cgil, Fiom, Cobas, l'Azione cattolica, le Acli, gli scout di Agesci, Pax Christi, poi i partiti Pd, Idv, Sel, FdS, socialisti, tra le tv solo la7, tra i giornali, Avvenire, Il Fatto quotidiano, il manifesto, l'Unità, la Repubblica, La Stampa, Famiglia cristiana, Il Messaggero, L'Espresso.
Un ruolo decisivo è stato giocato dalla rete, attraverso il passaparola, che ha saputo raggiungere luoghi e persone diverse, creando una mobilitazione “alternativa”. Interessante il dato proveniente dall'analisi del “Battiquorum” su facebook che alla mezzanotte del 12 giugno, su un totale di 3 milioni e 635 mila utenti circa, dava il 65% come indifferente, cioè la famosa massa grigia che non vota, il 21,8% formata da attivisti pro referendum, mentre appena il 12,4% addirittura contrario. Morale della favola, il paese reale è risultato ben più avanti rispetto allo stesso popolo di facebook, che pure rappresenta oggi un termometro socio-culturale del quale qualunque nuova forma di politica non potrà non tener conto.
L'affluenza del 57%, circa 29 milioni di elettori, e le percentuali tra il 94% e il 96% dei sì ai quesiti sono già storia. Anche in questo caso la maggiore affluenza è al Nord, con le regioni Trentino (64,6%), Emilia Romagna (64%), Toscana (63,5%), Marche (61%), con le città Firenze (67%), Bologna (66%), Trento e Bolzano (65%), Torino (61%), Venezia, Genova e Ragusa (60%), Roma (59%). Le più basse percentuali invece confermano un Sud più pigro, con la regione Calabria 50% e le città di Crotone (45%), Catania, Reggio Calabria, Foggia (49%), Caserta e Palermo (50%).
Donne, giovani, precari, studenti, credenti e non, Nord più consapevole e Sud critico, tutti protagonisti di un referendum che è in perfetta continuità con i referendum storici e che ha tutto il diritto di entrare nella storia della democrazia partecipativa del nostro paese. Emerge, infatti, ancora una volta, un chiaro dato che è ormai una costante: la richiesta da parte della società di partecipazione e di apertura sul versante dei diritti e della difesa dell'ambiente. Saprà stavolta la sinistra all'opposizione incanalare e dar voce a queste diffuse trasversali spinte progressiste?
Tratto da: “il Mondo di Annibale”
(Fonte Internet)
Di fronte ad una politica del tutto irrazionale è arrivato il momento di agire. Qualche pensiero domenicale
E' un po' snervante riuscire a fare un'analisi critica quando si vive una situazione politica e sociale come quella che vive oggi il nostro paese. Gli impegni della vita quotidiana sono sempre più duri e faticosi per tutti, sempre meno tempo è lasciato alla possibilità di riflettere e analizzare, bisogna agire. Di rado, credo, come in questi ultimi due anni, la scena politica e sociale del paese è andata involvendosi in maniera così incalzante, rapida, quasi frettolosa. Si è sempre in balia di qualcosa, qualche affermazione, qualche azione da parte della maggioranza che si aggiunge subito ad un'altra aberrante appena fatta. E questo accade, per di più, in una situazione di complicata crisi economica generale, non solo italiana.
Come se non bastasse, lo spazio dell'informazione e dell'analisi o dell'approfondimento è estremamente ridotto. Tutto o quasi è in mano ad una visione che se non è del tutto allineata alle posizioni della maggioranza, comunque sia appare conformista, accomodante, spesso connivente. Ci siamo gradualmente abituati a leggere i titoli dei giornali, ad ascoltare le notizie dei telegiornali, non come informazioni ma come prese di posizione. Non ci si meraviglia neanche più quando si viene a sapere che una certa notizia, largamente diffusa nel paese, è completamente falsa. Non che non ci sia modo di formarsi un'opinione diversa dal grigio conformismo che avanza, ma è uno spazio ridotto, destinato solo a chi conosce certi circuiti, a chi può fare certe cose, non certo a tutti, né alla maggioranza della popolazione. C'è internet, ma è difficile districarsi tra i siti, qualche giornale critico con tirature limitatissime, qualche radio, ogni tanto qualche trasmissione su qualche canale alla tv, ma poco, poco altro.
La reazione a questa condizione anche psicologica è generalmente di due tipi. Alcuni si rinchiudono al di qua della vita politica, è il fenomeno dell'antipolitica. Si manifesta diversamente, per esempio si contesta a prescindere, si è distruttivi. Oppure, si parla solo di certe cose, di prezzi che salgono, del calcio, della propria attività professionale. E non è soltanto un atteggiamento di destra. Si sentono parlare così anche persone che stanno a sinistra. Non si parla in questo modo solo al supermercato, al bar o dentro al bus. Altri, invece, si danno un punto fermo di riferimento nella confusione della situazione politica. Anche in questo caso ci sono soprattutto due modi di farlo: c'è chi estremizza la lotta politica, c'è chi la modera cercando di dare sostegno alle istituzioni democratiche consolidate. Sono entrambe posizioni nobilissime in una situazione come questa, si tratta di principi affermati solennemente, che salvaguardano l'identità personale di ciascuno, ma che non consentono affatto di prevedere i comportamenti reali. In poche parole la difficoltà di analisi della situazione è dovuta al fatto di trovarsi di fronte a comportamenti politicamente spesso irrazionali, sia da parte della maggioranza al governo, sia da parte dell'opposizione. La prima tracotante e rigida nella strategia di svuotamento della costituzione e di modifica delle regole del gioco politico, la seconda così inerme, senza strategia di lungo periodo, in balia degli episodi.
Tutto questo non avrebbe conseguenze gravi se si limitasse a mettere in difficoltà l'eventuale storico o il sociologo di turno, un osservatore intellettuale diciamo: il problema è che questa situazione paradossale coinvolge lo stesso pensiero politico al punto da separare totalmente principi teorici e programmi di ampio respiro da azioni concrete, pragmatismo politico, iniziative incalzanti. Si pensi alla politica economica, ma si potrebbero fare tantissimi altri esempi. Tutti sentono che un cambiamento di politica economica è indispensabile e urgente, ma non si formula mai un'analisi o un programma veramente alternativo, se non qualcuno che non ha neppure rappresentanza in parlamento. Lo stesso sulla questione del lavoro, dell'università, etc. E' come se l'evento, il fatto in sé, regnasse da assoluto padrone, per cui dopo l'azione incriminata c'è la levata di scudi, l'opposizione insorge, però poi tutto continua allo stesso modo, perché? Perché si naviga a vista, perché non c'è strategia di lungo corso. E ciò rende ancora più complicata e difficoltosa l'analisi dell'osservatore. Spesso viene voglia di rinchiudersi nella propria riflessione o di difendere la propria tranquillità di spirito appoggiando con un semplice click questa o quest'altra iniziativa su facebook. Ma non basta fare così, in questo momento. Il ruolo di chi analizza, dello storico, del sociologo, del politologo, dell'opinionista (quando è serio), che a molti può sembrare qualcosa di irrisorio o di inutile, è comunque importante e utile in questo contesto così sfuocato. Perché aiuta a chiarire i rapporti sociali, a smascherare il dominio del conformismo, a fomentare libertà di pensiero e di espressione.
Occorre per questo unirsi agli attori sociali e politici che lottano VERAMENTE per rendere evidente la realtà dei rapporti sociali, per svolgere una funzione alternativa al modello imposto attualmente dominante. Cercare nuove forme di partecipazione civile è oggi l'obiettivo principale di chiunque voglia dare un contributo serio a modificare la realtà politica e sociale del paese. Non è più tempo di comitati scientifici di questa o quest'altra fondazione, non è più tempo di centri studi, occorre invece fiancheggiare criticamente la nuova modalità di partecipazione, questa dirompente spinta che viene da quella parte dei giovani di sinistra rimasti finora estranei alla politica vissuta come attivisti, alla freschezza e novità di chi ha deciso di dare il proprio contributo in maniera creativa e originale, mettendo a servizio degli altri la propria passione e le proprie competenze. In definitiva, non è più tempo di riflettere e di tergiversare, ma è giunto il tempo di agire.
(Archivio Alinari)