dic 2010

Politica e partecipazione. "Fabbriche" di democrazia partecipativa

Non c’è dubbio che i mutamenti nella società e nelle istituzioni siano oggi così forti da imporre revisioni profonde di strumenti e di contenuti. La classe dirigente del Paese è sempre stata troppo impegnata alla conquista del consenso per poter riuscire ad accogliere i messaggi che provengono dalla base di una società in continuo mutamento. La politica si è fatta dunque più complessa e articolata di quanto non prevedessero i partiti. Esiste una società sommersa, sempre più numerosa e, all’interno di questa, un’ampia e variegata sinistra inquieta. In altri termini, è in atto una crisi di rappresentatività della società nel nostro sistema politico, che è l’altra faccia, ben al di là della gravissima questione morale, che è più sintomo che causa del crescente processo di delegittimazione istituzionale che viviamo in questi ultimi mesi.
Va premesso che questa crisi non solo del sistema dei partiti, ma anche della stessa forma partito, non pu
ò e non deve portare ad un indifferenziato rifiuto qualunquistico della funzione dei partiti. Occorre invece una più rigorosa analisi critica della sua involuzione e della degenerazione che si è manifestata in rapporto ai processi di secolarizzazione della società e di trasformazione sociale e culturale verificatisi dal ‘68 in poi. Parallelamente è necessaria una ridefinizione dei meccanismi di partecipazione e di rappresentanza politica. A tale proposito può essere interessante guardare alla diffusione sempre più contagiosa delle Fabbriche di Nichi, che sembrano proporre una prima risposta a questi problemi.
Lo spazio nuovo e proficuo del rapporto tra partiti e
società civile è da valorizzare proprio sul versante dell’interazione tra processi dell’innovazione sociale e del sistema politico. L’obiettivo di un soggetto mediatore di questo tipo dovrebbe essere quello di riuscire a coinvolgere nell’elaborazione di una progettualità politica alternativa forze che di fatto sono o intendono restare esterne ed autonome rispetto al raggio di azione dei partiti. Insomma un pezzo di società che interagisce direttamente con i gruppi dirigenti, che diventa partecipe di un progetto politico. È dunque necessario individuare e far crescere nuove forme di rappresentanza rispetto a quei movimenti e soggetti sociali, ecologismo, pacifismo, femminismo, diritti civili e umani, che si manifestano nella società, ma che non riescono ancora a realizzare una positiva dialettica col sistema politico-istituzionale.
In questo ambito rientrano anche tutti quei gruppi e movimenti cattolici, una vera riserva di energie, in piena secolarizzazione e nel tempo della onnipotente impotenza della politica, che si richiamano all’esperienza tradita del Concilio Vaticano II, sottolineando la centralit
à della legalità, di una cultura di solidarietà e di corresponsabilità, dell’attenzione al lavoro. Sono tutti spezzoni di un discorso alternativo che la politica oggi non sa coinvolgere. Ed è necessario che qualcuno si faccia promotore e interlocutore di queste istanze innovative. Occorre liberare le diversità che la politica non sa prendere in considerazione.

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(Archivio personale)

Le “Fabbriche”, dalla Puglia, si sono diffuse in tutta Italia. Sono fatte essenzialmente da giovani, molti dei quali non hanno esperienze partitiche alle spalle. Non sono, come molti pensano, un semplice comitato elettorale, né la cinghia di trasmissione di Sinistra e Libertà, ma spazi in cui circolano idee, richieste, appelli, proteste su problemi diversi, ma riconducibili ad un’aspirazione al rigore morale, alla giustizia, all’innovazione, alla sostenibilità ambientale, alla creatività, ad un progetto di alternativa vera alle connivenze dell’attuale classe dirigente del Paese. A parte il riferimento costante alla figura di Vendola, con tutti i rischi del leaderismo, c’è però un elemento di vitalità e di spontaneità, che, se valorizzato, potrebbe fare di esse un canale per ricevere e non solo per trasmettere politica, uno strumento per imparare a capire la nuova cittadinanza. In molti dei partecipanti della Fabbrica è riscontrabile un implicito dissenso critico all’attuale impostazione dei partiti. Per mutare, tuttavia, bisogna introdurre elementi nuovi, non presenti finora. Questo può accadere solo attraverso una ricognizione attiva e ricettiva in tutti i settori nuovi del mondo del lavoro, ma anche in quelli tradizionali dove emergono comunque nuove percezioni, altre culture e stili di vita.
In breve, le Fabbriche, suscitando partecipazione, promuovendo forme reali di confronto, creando una rete condivisa di informazioni e buone pratiche, rappresentano un modo di fare politica senza divenire schiavi della politica. Il punto
è utilizzare nel modo migliore e più virtuoso, anche a livello mediatico e comunicativo, quella posizione di interfaccia di ambienti ed esperienze sociali e culturali per produrre innovazione nelle idee e trasferirle nella dimensione della politica di ogni giorno.
Negli ultimi anni le cose sono molto cambiate per le nuove generazioni: non si tratta di contestare o di voler cambiare il mondo a parole, ma siamo oggi in un fase di formazione di una capacit
à di governo anche da parte delle forze giovanili. Chi partecipa ai laboratori delle fabbriche rimane stupito dalla eterogeneità e varietà di interessi, storie personali, competenze: il fabbricante è a volte uno studente o un dottorando, altre volte un precario o un normale cittadino incuriosito dal fenomeno della partecipazione diretta nel territorio. Molto spesso è donna. È, in ogni caso, un valore aggiunto, che può portare ad un livello di maggiore elaborazione le richieste della cittadinanza critica e le stesse proposte dei partiti. Ma è anche, seppure spesso inconsapevolmente, un animale politico come gli altri. La sua caratteristica dovrebbe allora essere quella di fare politica senza curarsi delle mediazioni cui è costretto il lavoro quotidiano del partito, di non avere bisogno di mandare segnali alle altre forze politiche. Senza una struttura verticistica, la Fabbrica è un gruppo di volontari che diventa catalizzatore di energie altrimenti disperse.
Una cosa
è certa: oggi non siamo più nella stagione della certezza, ma in quella della ricerca. La politica non è più in grado di fornire garanzie ai cittadini, occorre dunque rifondarla. Aggiungo un’avvertenza. Quella giovanile è una risorsa immensa che non va sprecata, né tanto meno strumentalizzata. Sarebbe pericoloso utilizzare queste energie come uno strumento che consente di non affrontare alcune difficoltà che i partiti incontrano nei loro rapporti con determinati ambienti sociali. Al momento, le “Fabbriche” funzionano come fattore di modernizzazione della politica, ma soprattutto sul versante dell’opinione elettorale, della socializzazione politica e dei relativi meccanismi di identificazione ad un leader, ma anche qui in modo insufficiente, e soprattutto casuale, non programmato, anche se vincente. Non funzionano invece, se non indirettamente e per eccezionali coincidenze, come fattore di modernizzazione dei processi decisionali della politica.
La mia tesi
è che le “Fabbriche”, e in generale tutti laboratori sociali e culturali, andrebbero valorizzati al massimo come fattori di decisione politica. Acquisire ad una funzione decisionale sedi non burocratiche, darebbe il vantaggio di arricchire di spessore analitico-culturale la scelta politica e di avvicinare all’impegno diretto coloro che ne rimangono volontariamente ai margini. Sottrarrebbe inoltre l’attività dei centri socio-culturali alla tentazione dell’astrattezza inconcludente e del velleitarismo. La riforma moderna della politica infatti non può essere la somma algebrica di esperienze locali, di linguaggi settoriali e specialistici, spesso non comunicanti tra loro. Formalmente i gruppi di questo tipo restano un assemblaggio di individualità, dove la professionalità soggettiva non incide efficacemente sulla società a cui si rivolge. È oggi quantomai necessaria una forma di elaborazione socio-culturale in cui linguaggi ed esperienze si confrontino e si concretizzino in una scelta politica comune, in un progetto di ampio respiro, sia pure senza intaccare la libertà di ciascuno.
(Tratto da:
“Adista - Segni nuovi”, n. 96)

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Pensavo, tornando a casa...

povertavecchia
(Archivio Alinari)
Oggi faceva proprio freddo sul viale, al cader della sera, mentre tornavo a casa dall'istituto storico. Strana atmosfera, politicamente. Una banale conversazione tra due uomini carpita nel bus: parlano del premier e lo definiscono un puttaniere e un bastardo. Mi avvicino e gli chiedo sarcasticamente: chi lo ha votato? da chi può essere sostituito? Il discorso allora si fa vago. "Quel Fini lì non mi convince". "Draghi e Montezemolo sono più affidabili"... Ma, in definitiva, non sanno rispondere. Per loro non si tratta neppure tanto di ragionare o di fare ipotesi, quanto di scacciare l'incubo, questo tarlo che ha ormai preso a morsi lo stomaco del paese. Scendo dal bus e trovo alla fermata alcuni mendicanti. La vita materiale  è sempre più difficile, per tutti, non solo per le fasce di marginalità sociale. Il paese è soffocato dalla mancanza di una politica economica e di direttive precise sul fronte del lavoro. La protesta degli studenti medi e degli universitari si salderà presto con quella dei licenziati, dei cassintegrati, degli sfruttati. Ma chi avrà la capacità e la lungimiranza di incanalarla? Anche le classi agiate non contengono la loro impazienza, dovuta all'impossibilità di continuare ad arricchirsi sempre di più come un tempo. Le classi medie scivolano sempre più nel pantano della povertà. L'opposizione sembra intorpidita, inerme, sulla difensiva. Da mesi la lotta sociale si è fatta costante. Da un po' di tempo, tutto sembra svolgersi nelle strade e nelle piazze, ma pochi ( a parte i diretti protagonisti) se ne accorgono, visto che la tv e la stampa nazionale vivono una stagione di sempre più grigio conformismo, eccetto rari casi. Tutti sentono che dietro l'agitazione e le rispettive parole d'ordine, il giustizialismo di alcuni, il moderatismo di altri, il populismo di altri ancora, si è instaurata una attesa inquieta. Gli avvenimenti che si preparano sembrano avvolti nel segreto. Solo pochi eletti sanno come andranno a finire le cose. Da ogni parte si preannuncia e si aspetta la caduta di questo governo, ma tutto viene rimandato sempre all'indomani. A poco a poco il sistema politico sembra uscire dalla realtà sociale. La crisi economica è chiaramente giunta ad un punto di rottura. Ciò che mi colpisce di più è la passività del governo anche in questo campo. Nessuno dà spiegazioni: non si prende misura alcuna. Un'analisi dell'economia e della politica economica avrebbe allo stato attuale una enorme importanza, anche soluzioni estreme ma chiare, nette. Un confronto preciso e anche aspro sui contenuti gioverebbe alla chiarezza. Ma nulla di tutto ciò accade. Non è solo economia però, mi sembra altrettanto urgente puntare all'analisi del fatto politico. Il blocco di centro-destra si è spaccato, il governo è in balia dei finiani. I centristi riacquistano un ruolo politico dopo tanto tempo, un peso condizionante. Ma il punto dirimente è altrove. Riconosco un democratico per il semplice fatto che sempre, nel bel mezzo di una conversazione, la sua analisi si arresta, la sua voce cambia, il suo sguardo si fa lontano. Ha spesso avuto riverenza nei confronti della Chiesa e di quel mondo così lontano e sfuocato, al punto da sottomettersi ai suoi ricatti. Ha sempre avuto un senso di inferiorità nei confronti dei conservatori, prima dei democristiani, poi dei centristi cattolici, infine dei finiani. Si può ironizzare su uomini politici che occupano posizioni ufficiali di potere, vivono in belle e comode ville e sognano il cambiamento, per non dire la rivoluzione. Anzi è una parola che non va più di moda: adesso la chiamano riformismo. Chissà se queste contraddizioni un giorno finiranno per esplodere per merito di qualcosa o di qualcuno. La verità è che il paese ha vissuto questo ultimo anno fuori dalla società, non ha più una classe dirigente credibile, e tanto meno un governo, tutto avviene ai vertici. Le nuove generazioni, spesso, si disinteressano di politica, per rigetto, per rifiuto automatico. E tutto rimane in mano a pochi emuli che sono già vecchi a vent'anni. Ho voglia di dire ai democratici: svegliatevi! Se le cose continuano così il partito democratico vedrà una volta di più diminuire la propria capacità di mobilitazione della società, già ridotta al minimo. Ma parlo così forse perché mi innervosisce l'attesa di una schiarita e sono annoiato ormai di vivere alla giornata senza nessuno ( o quasi) che sappia indicare un progetto chiaro e soprattutto sappia perseguirlo.

povertanuova
(Archivio Alinari)

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