feb 2010

Radici storiche della rifondazione comunista

A qualcuno potrà anche sembrare strano ma a parlare per la prima volta di «rifondazione comunista» non fu nè Cossutta, nè Garavini, nè, tanto meno, Bertinotti. E non si era neppure nel famoso 1991, bensì nel lontanissimo 1973. E' la storia che ci viene in soccorso.
«Esistono le condizioni oggettive e le potenzialità soggettive, dentro e fuori le organizzazioni riformiste,
per riproporsi con fiducia l'obiettivo della rifondazione di una forza comunista
»
(
Il Ponte, 30 giugno 1973, p. 740).
Questa proposta fu avanzata da Luciana Castellina, in un momento molto critico, almeno dal punto di vista elettorale, per i movimenti che dopo la contestazione studentesca, il dissenso religioso e l'autunno operaio, si erano distaccati dal Pci, dando vita prima al Manifesto e poi al Pdup. Se da un lato i risultati elettorali sembravano premiare pragmaticamente, negli anni dal 1972 al 1976, il bipolarismo Dc-Pci, piegando i cosiddetti
«opposti estremismi» (almeno se si eccettua il sussulto elettorale del Msi che raggiunse addirittura l'8%, poi però subito ridimensionato), non si può non cogliere tutta la lungimiranza ideale dell'analisi svolta dalla Castellina, in un momento di grave crisi economica internazionale e nazionale, che vedeva, in parallelo, il rilancio della distensione tra Nixon e Breznev, la sbandierata (ma non reale) fine della guerra in Vietnam, la battuta d'arresto della rivoluzione cinese, le difficoltà delle lotte di liberazione nel terzo mondo; e, in ambito italiano, l'acuirsi dell'instabilità politica, della strategia della tensione e le prime avvisaglie delle azioni terroristiche dei brigatisti rossi. La critica della Castellina si incentrava sul mancato radicalismo dell'opposizione svolta dal Pci di Berlinguer ai vari governi democristiani, da Leone ad Andreotti fino a Rumor, che aveva sostanzialmente portato, a suo avviso, alla riorganizzazione intransigente democristiana sotto le bandiere di Fanfani e della battaglia antidivorzista; e poi sulla perenne crisi «attendista» dei socialisti. Si tratta di due elementi che, secondo la Castellina, davanti alle incertezze di un'opposizione così impoverita di contenuti, avrebbero apparecchiato una sostanziale svolta a destra del paese. Per questo motivo, proseguiva, si imponeva l'urgenza di costruire uno schieramento unitario, capace di una «lunga marcia» attraverso la crisi del sistema, di una «nuova opposizione» che doveva comprendere i movimenti che avevano contribuito a porre nuove problematiche, dal Sessantotto in poi, e che si apprestavano a serrare le fila per la battaglia sul divorzio, ma anche «una parte almeno delle forze tuttora interne al quadro riformista». Si trattava di una proposta che andava, almeno nelle intenzioni della Castellina, ben oltre l'unificazione tra il Manifesto e il Pdup, ma che doveva rappresentare la confluenza dei due filoni autentici del movimento operaio italiano, quello marxista ortodosso comunista e quello socialista e libertario, a cui si potevano aggiungere anche quelle forze cattoliche, sostanzialmente antisistema, che si apprestavano a combattere insieme alle forze laiche la battaglia sul divorzio, dopo i primi distacchi da parte delle comunità di base dalle posizioni chiuse e bigotte delle gerarchie ecclesiastiche in materia di autonomia ai laici, di anticoncezionali, di democrazia all'interno della Chiesa, e in contemporanea alla nascita dei Cristiani per il socialismo.

comunisti
(Archivio Alinari)

Non
è casuale, dunque, che ciò accadeva proprio durante la grande crisi dell'Italia repubblicana degli anni Settanta, a cavallo tra le importanti vittorie sui diritti civili, dal divorzio all'aborto, e che la proposta provenisse proprio da una personalità di grande doti intellettuali come la Castellina, che sarebbe stata capace, così come era stata un tempo, di staccarsi dal Pci, anche di ritornarci proprio nel momento apparentemente più difficile, nel 1984, con la morte di Berlinguer (ma anche convinta sostenitrice dell'esperimento dell'apporto originale e «unitario» degli indipendenti di sinistra). Non è un caso, dunque, che quella proposta cadeva in quel cruciale momento storico, in cui si celano le chiavi di lettura più significative per capire molte delle scelte della politica italiana degli anni a venire, e ben prima della fine del comunismo sovietico e della crisi della prima repubblica, con il cambio del nome del Pci in Pds e le successive vicende che diedero vita alla nascita di Rifondazione comunista. Forse la successiva crisi del movimento dei lavoratori negli anni Ottanta, dopo le grandi trasformazioni politiche, sociali e culturali della società italiana, potrebbe essere imputata proprio alla mancata realizzazione della prospettiva auspicata dalla Castellina, in alternativa a quella che definiva «l’inadeguatezza della strategia del compromesso storico nel garantire un processo di trasformazione dei meccanismi statali e capitalistici». Ogni tanto sarebbe bene dare la parola all'analisi storica per capire il senso e l'ampiezza di prospettive di certe idee che si ripropongono oggi in contesti e in situazioni solo apparentemente diversi.

(Tratto da:
“il manifesto”)

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Veltroni, la laicità e i santi in paradiso

Premesso che Veltroni appare, oggi, probabilmente la proposta meno logora dell'attuale sinistra, vorrei fare una constatazione, suffragata da una "pezza di appoggio storiografica", che credo lei possa condividere. Qualcuno si meraviglia che Veltroni, milaniano da tempi non sospetti, sia riuscito ad aggregare un certo consenso Oltre Tevere, collaborando con Sant'Egidio e la Caritas, dialogando prima con papa Wojtyla, poi con monsignor Fisichella, adesso con papa Ratzinger, a tal punto da venir fuori come «l'uomo del dialogo», destinato a scavalcare politicamente quelle personalità cattoliche su posizioni bindiane, prodiane e perfino rutelliane nella Margherita. C'è poco da meravigliarsi, anzi. Se ci rifacciamo alla storia. C'è una sorta di filo rosso, infatti, che ha visto protagonisti, ad ogni staffetta, i vari segretari del Pci di allora, poi Pds infine Ds, nel tentativo di riscattare chissà quale colpa primigenia agli occhi dei vari pontefici. La lista è troppo lunga, basta riportare qualche esempio significativo. Negli anni sessanta Rodano portava a padre De Luca i messaggi di Togliatti indirizzati a Giovanni XXIII sulla distensione pacifica, mentre, cosa che sanno in pochi (e che ho potuto verificare direttamente sfogliando i verbali della direzione del Pci) Longo mandò addirittura un messaggio ufficiale di auguri natalizi a Paolo VI, a nome di tutto il partito, nel tentativo di ingraziarsi qualcuno più in alto nell'eventualità che la Dc di Moro si rivelasse un po' troppo laica; negli anni settanta ci pensava l'Espresso a denunciare quei «messaggi aerei» che, per compiere il tragitto da via delle Botteghe Oscure a Piazza Sturzo, percorrevano il tortuoso itinerario che passava da Piazza San Pietro. E i serissimi protagonisti di questi contatti riservati erano soprattutto tre: il "rettore dell'Università", il "prete bianco" e il "motociclista" (erano questi, infatti, nel linguaggio cifrato delle conversazioni private, i nomi con cui venivano chiamati da Natta, Bufalini, Barca e dai loro interlocutori democristiani e della curia, rispettivamente Berlinguer, Paolo VI e il cardinal Benelli).
veltroni
(Archivio Alinari)
Detto questo, si capisce bene quanto ci sia poco da stupirsi della simpatia di Veltroni per la Chiesa: è in perfetta sintonia con i suoi autorevoli predecessori (compreso il più recente Fassino). La cosa che, caro direttore, dovrebbe meravigliare, anzi per la verità dovrebbe preoccupare è un'altra: ai tempi di Togliatti, di Longo e di Berlinguer, nel Pci c'era sì una maggioranza dentro il partito convinta di aprirsi al dialogo con la Chiesa oltre che con il mondo cattolico e la Dc, ma c'era anche una forte componente laica, radicale, anticoncordataria, insomma tutto quel settore vicino al socialismo, non vorrei dire rivoluzionario, ma quantomeno critico, per non parlare dell'ala movimentista. Inoltre c'era, al di fuori del Pci, tutta una serie di forze, cattoliche democratiche e del dissenso, che tenevano alti gli umori anti-compromesso, proprio perché, provenendo da quello stesso mondo cattolico e religioso, ben lo conoscevano, diffidandone. Oggi sembra mancare al Partito Democratico (o almeno non ce ne siamo ancora accorti), andando oltre le facili affermazioni e le buone intenzioni, proprio tutto quel bagaglio di pluralismo, laicità e diversità di esperienze (e che erano le premesse alle quali in molti guardarono all'inizio del processo di nascita), che rendono questa forza assolutamente sottomessa e prigioniera del timore di scontentare la Chiesa, su più fronti, in particolare sulle questioni etiche e sui diritti civili. Mancano insomma proprio quei cattolici anticoncordatari, quei socialisti critici e quei radicali di sinistra che negli ultimi decenni fiancheggiarono l'azione del Pci garantendole, se possibile, un vero surplus di democrazia.

(Tratto da:
“Diario della settimana”)

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