Radici storiche della rifondazione comunista

A qualcuno potrà anche sembrare strano ma a parlare per la prima volta di «rifondazione comunista» non fu nè Cossutta, nè Garavini, nè, tanto meno, Bertinotti. E non si era neppure nel famoso 1991, bensì nel lontanissimo 1973. E' la storia che ci viene in soccorso.
«Esistono le condizioni oggettive e le potenzialità soggettive, dentro e fuori le organizzazioni riformiste,
per riproporsi con fiducia l'obiettivo della rifondazione di una forza comunista
»
(
Il Ponte, 30 giugno 1973, p. 740).
Questa proposta fu avanzata da Luciana Castellina, in un momento molto critico, almeno dal punto di vista elettorale, per i movimenti che dopo la contestazione studentesca, il dissenso religioso e l'autunno operaio, si erano distaccati dal Pci, dando vita prima al Manifesto e poi al Pdup. Se da un lato i risultati elettorali sembravano premiare pragmaticamente, negli anni dal 1972 al 1976, il bipolarismo Dc-Pci, piegando i cosiddetti
«opposti estremismi» (almeno se si eccettua il sussulto elettorale del Msi che raggiunse addirittura l'8%, poi però subito ridimensionato), non si può non cogliere tutta la lungimiranza ideale dell'analisi svolta dalla Castellina, in un momento di grave crisi economica internazionale e nazionale, che vedeva, in parallelo, il rilancio della distensione tra Nixon e Breznev, la sbandierata (ma non reale) fine della guerra in Vietnam, la battuta d'arresto della rivoluzione cinese, le difficoltà delle lotte di liberazione nel terzo mondo; e, in ambito italiano, l'acuirsi dell'instabilità politica, della strategia della tensione e le prime avvisaglie delle azioni terroristiche dei brigatisti rossi. La critica della Castellina si incentrava sul mancato radicalismo dell'opposizione svolta dal Pci di Berlinguer ai vari governi democristiani, da Leone ad Andreotti fino a Rumor, che aveva sostanzialmente portato, a suo avviso, alla riorganizzazione intransigente democristiana sotto le bandiere di Fanfani e della battaglia antidivorzista; e poi sulla perenne crisi «attendista» dei socialisti. Si tratta di due elementi che, secondo la Castellina, davanti alle incertezze di un'opposizione così impoverita di contenuti, avrebbero apparecchiato una sostanziale svolta a destra del paese. Per questo motivo, proseguiva, si imponeva l'urgenza di costruire uno schieramento unitario, capace di una «lunga marcia» attraverso la crisi del sistema, di una «nuova opposizione» che doveva comprendere i movimenti che avevano contribuito a porre nuove problematiche, dal Sessantotto in poi, e che si apprestavano a serrare le fila per la battaglia sul divorzio, ma anche «una parte almeno delle forze tuttora interne al quadro riformista». Si trattava di una proposta che andava, almeno nelle intenzioni della Castellina, ben oltre l'unificazione tra il Manifesto e il Pdup, ma che doveva rappresentare la confluenza dei due filoni autentici del movimento operaio italiano, quello marxista ortodosso comunista e quello socialista e libertario, a cui si potevano aggiungere anche quelle forze cattoliche, sostanzialmente antisistema, che si apprestavano a combattere insieme alle forze laiche la battaglia sul divorzio, dopo i primi distacchi da parte delle comunità di base dalle posizioni chiuse e bigotte delle gerarchie ecclesiastiche in materia di autonomia ai laici, di anticoncezionali, di democrazia all'interno della Chiesa, e in contemporanea alla nascita dei Cristiani per il socialismo.

comunisti
(Archivio Alinari)

Non
è casuale, dunque, che ciò accadeva proprio durante la grande crisi dell'Italia repubblicana degli anni Settanta, a cavallo tra le importanti vittorie sui diritti civili, dal divorzio all'aborto, e che la proposta provenisse proprio da una personalità di grande doti intellettuali come la Castellina, che sarebbe stata capace, così come era stata un tempo, di staccarsi dal Pci, anche di ritornarci proprio nel momento apparentemente più difficile, nel 1984, con la morte di Berlinguer (ma anche convinta sostenitrice dell'esperimento dell'apporto originale e «unitario» degli indipendenti di sinistra). Non è un caso, dunque, che quella proposta cadeva in quel cruciale momento storico, in cui si celano le chiavi di lettura più significative per capire molte delle scelte della politica italiana degli anni a venire, e ben prima della fine del comunismo sovietico e della crisi della prima repubblica, con il cambio del nome del Pci in Pds e le successive vicende che diedero vita alla nascita di Rifondazione comunista. Forse la successiva crisi del movimento dei lavoratori negli anni Ottanta, dopo le grandi trasformazioni politiche, sociali e culturali della società italiana, potrebbe essere imputata proprio alla mancata realizzazione della prospettiva auspicata dalla Castellina, in alternativa a quella che definiva «l’inadeguatezza della strategia del compromesso storico nel garantire un processo di trasformazione dei meccanismi statali e capitalistici». Ogni tanto sarebbe bene dare la parola all'analisi storica per capire il senso e l'ampiezza di prospettive di certe idee che si ripropongono oggi in contesti e in situazioni solo apparentemente diversi.

(Tratto da:
“il manifesto”)

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