Sui nuovi referendum. Rimaniamo dentro la storia
(Archivio Alinari)
Vorrei condividere con voi un semplice ragionamento sul significato dei referendum abrogativi e sul quorum, partendo dalla storia.
Non tutti sanno che l'istituto del referendum in Italia è stato approvato nel 1970, subito dopo l'entrata in vigore della legge sul divorzio, su spinta della chiesa e della democrazia cristiana proprio in funzione anti-divorzista.
Non si immagini, dunque, che a impugnare l'utilizzo di questa nuova arma popolare fosse un giovane rivoluzionario e o un provetto masaniello. Era stato, molto più sommessamente, un alto prelato, un monsignore, per la prima volta ("L'Italia", 17 aprile 1966), ad avanzare la proposta che si interpellasse direttamente il popolo per decidere sul divorzio, l'unico in grado, a suo avviso, di prendere una posizione netta su una tematica così delicata.
Cosa accadde al primo referendum abrogativo della storia d'Italia , nel 1974, (altro conto è quello arci-noto tra monarchia e repubblica) è risaputo: vittoria schiacciante del fronte divorzista, amara sconfitta per democristiani e chiesa, inizio del processo di secolarizzazione anche in Italia. E' interessante sottolineare però, ai fini del nostro discorso, la percentuale dei votanti a quel primo referendum: qualcosa di assolutamente impensabile oggi, cioè a dire votarono in 33 milioni e 29 mila cittadini (su 39 milioni iscritti nelle liste), cifra pari addirittura all'88,1%.
Il secondo importante appuntamento referendario (c'era stato nel frattempo quello del 1978 sul finanziamento pubblico ai partiti, che aveva visto un quorum del 81,2% e la vittoria del "no") fu organizzato e monopolizzato anche stavolta dai movimenti cattolici per tentare di abrogare la legge sull'aborto: ad aizzare le masse, in quel caso, non furono esponenti dei radicali o giovani estremisti, come si potrebbe credere parlando vagamente del tema "referendum popolari", ma fu piuttosto un ex giudice, presidente del Movimento per la vita. Quella volta votarono il 79,6% degli aventi diritto, con un'alta partecipazione di credenti che disattesero le indicazioni delle alte gerarchie ecclesiastiche, un dato in calo rispetto alla tornata precedente, che confermarono la validità della legge, dando un colpo mortale al tentativo di Comunione e Liberazione e Mpv di riaggregare il mondo cattolico intransigente. Già in quell'occasione, dove si erano accorpati al referendum sull'aborto anche altri quesiti (come ordine pubblico ed ergastolo), i più avvertiti tra gli esponenti dei radicali fecero autocritica per un utilizzo dello strumento referendario totalmente travisato rispetto alle origini: la strategia dei pacchetti referendari espressi in modo poco chiaro e difficilmente assimilabile dall'opinione pubblica, gestiti peraltro fuori dalle elezioni politiche, con enorme spreco di denaro pubblico, appariva totalmente errata.
Il calo della percentuale dei votanti al referendum proseguì imperterrita nel 1985 con il referendum sulla scala mobile (77,9%), nel 1987 su responsabilità civile dei giudici e nucleare (65,1%), ma il quorum era stato comunque sempre raggiunto fino a quel momento. Il motivi erano, evidentemente, l'uso di argomenti chiari e la mobilitazione dei partiti e dei movimenti presenti nel paese.
A partire dal 1990 in poi la cosiddetta strategia dei pacchetti referendari, proseguita dai radicali, portò ad un utilizzo smodato e indiscriminato dell'istituto, su problematiche come la caccia, la riduzione dei deputati, le droghe, l'abrogazione di ministeri, le concessioni televisive, gli orari degli esercizi commerciali, l'obiezione di coscienza, le carriere dei magistrati, l'ordine dei giornalisti, etc, tutti argomenti che avrebbero dovuto essere risolti, se il parlamento avesse funzionato regolarmente come in qualunque altro paese civile, attraverso leggi ordinarie.
Il calo dei votanti fu, tornata per tornata, continuo e progressivo: dal 43% del 1990 al 30% del 1997, dal 49% del 1999 al 32,2% del 2000. Fino a toccare il fondo, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita del 2005, quando la chiesa e molti partiti di governo (ma non solo) avevano consigliato l'astensionismo, per cui andavano a votare solamente il 25% degli italiani. E il distacco dalla politica era confermato ancora nel 2009 con un calo ulteriore dei votanti al 23% in occasione dei quesiti tutti tecnici sulle liste elettorali.
Ma veniamo all'oggi. Questo appuntamento referendario, per la tipologia dei quesiti (nucleare, acqua pubblica, giustizia), per il percorso politico che lo ha preceduto, per la mobilitazione che, soprattutto in questi ultimi giorni, ha suscitato nella popolazione, sembra rientrare, di diritto, nella storia originaria e gloriosa dell'istituto del referendum abrogativo. Con la differenza che, stavolta, le forze popolari e anche i partiti, che li hanno promossi, non sono la chiesa e i movimenti cattolici intransigenti, ma piuttosto sono quei movimenti che hanno fatto sentire fortemente la propria voce in occasione, negli ultimi tempi, contro i provvedimenti del governo, contro le "uscite" del premier, e infine, durante la campagna elettorale per le ultime amministrative. Si tratta di un blocco sociale ricomposto, di una spinta popolare proveniente dal basso, con grandi protagonisti i giovani e le donne, che ha costretto, incredibilmente, i partiti di opposizione ad accodarsi, a non bloccare o smorzare come al solito l'entusiasmo, insomma si tratta di una novità per la storia recente del nostro paese. Una novità che però ha almeno tre importantissimi e gloriosi precedenti storici: le vittorie dei movimenti progressisti, laici e cattolici, in occasione dei referendum su divorzio (1974), aborto (1981) e nucleare (1987).
A questo punto è doveroso un appello a tutti. In quelle occasioni storiche il quorum fu, come ho già accennato, rispettivamente, dell'87%, del 79% e del 65%. Facciamo in modo di rimanere dentro la storia e facciamo sì che, anche questa volta, il quorum sia raggiunto e diventi una spinta propulsiva e incontenibile verso il (peraltro già vicino e ormai auspicabile) cambiamento di questo nostro paese.